L'ultimo libro che ho letto mi ha aperto gli occhi...


... e per questo lo consiglio a chiunque sia interessato ad andare un pò ad approfondire quello che la Chiesa pretende di farci credere, e vedere cosa c'è realmente alla base. Ossia, niente.



L'autore è Piergiorgio Oddifreddi, già famoso per "Il matematico impertinente" (che sto leggendo ora) e "Il matematico impenitente".
Non si tratta di una provocazione pura e semplice, si tratta di una vera e propria analisi delle Scritture, dall'antico al nuovo testamento, dai Vangeli alle varie Lettere. Il confronto scientifico ed approfondito tra queste fonti (a volte in pura contraddizione anche tra loro stesse) e le testimonianze storiche, porta a metterne in dubbio alcune e a sconfessare totalmente buona parte delle altre. Il "fedele medio" è abituato a non porci troppe domande su quanto ci viene letto in Chiesa durante la Messa, e a non mettere mai in dubbio i cosiddetti "Dogmi". Ma quando sono stati inseriti questi Dogmi? Chi li ha introdotti e a seguito di quale evento storico?
Le risposte a questi ed altri dubbi "di fede" vengono sviscerate in questo libro, a volte un pò ostico nelle lettura (è un saggio vero e proprio, con mille citazioni e traduzioni dal latino e riferimenti a fonti, non una letturina veloce), ma sicuramente illuminante. Per chi ha la mente aperta, ovviamente.
E per la serie "forse non tutti sanno che": lo sapevate che agli inizi del 2005 l'allora Cardinale Ratzinger venne incriminato da parte di una Corte distrettuale del Texas per connivenza nei reati (si parla dello scandalo dei preti pedofili che è scoppiato in quegli anni negli USA) e ostruzione alle indagini? Solo che nel settembre dello stesso anno il ministero della Giustizia degli USA ha ordinato al tribunale di archiviare la pratica perchè, essendo Ratzinger nel frattempo diventato Papa, egli ora gode di immunità in quanto capo di Stato, e il procedimento penale sarebbe incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti ("Perchè non possiamo essere Cristiani (e meno che mai Cattolici)", pag 221)

Ho saputo solo oggi, però non posso esimermi: R.I.P. Corey Haim

Quando ero teenager era tra i miei attori preferiti, non nel senso di "quelli più bravi", ma piuttosto "quelli a cui ero più affezionata". Certo, il suo compare Corey Feldman lo batteva di parecchio, però lo stesso Corey Haim ha sempre avuto un posticino nel mio cuore anni 80, e adesso che ho letto della sua morte, avvenuta lo scorso 10 marzo, un post per un ultimo saluto glielo voglio proprio dedicare.
Non voglio mettere immagini di come era da adulto, perchè nemmeno lo avrei riconosciuto se lo avessi visto. Così è come lo ricordo io (e, credo, la maggior parte degli altri della mia età)


E un video di ognuno dei 3 film che ricordo con più affetto:

Primo, ovviamente, Ragazzi Perduti (di cui ho già parlato ampiamente durante il countdown di Halloween, qui ):



Poi il classico Kinghiano Unico indizio la Luna Piena:



E infine un film che ho visto diverse volte nei pomeriggi di estate su Italia 1 (all'epoca), che non è horror ma teen movie davvero carino (credo di averla ancora registrata su una qualche videocassetta, la cercherò), ed è un pò un classico al pari dei film di Molly Ringwald (quella di Sixteen Candles, Breakfast Club e Bella in Rosa, non quella attuale di The secret life of an american Teenager... ma sto divagando): Licenza di Guida



Riposa in pace, Corey

Jus In Bello is over

Sono rientrata dalla convention di Supernatural, dopo 3 giorni di stancante e surreale puro delirio all'Hilton di Fiumicino. Ci sarebbe moltissimo da dire, ma (almeno al momento) mi limito a un paio di foto, e poi svengo a nanna. Ma queste non le posso non mettere Con Jensen Ackles (Dean Winchester) e Misha Collins (Castiel). La mattina (domenica, il terzo e ultimo giorno) mi ero svegliata, mi ero guardata allo specchio e mi ero depressa perchè avevo tipo le borse dell'Ikea sotto gli occhi e i capelli da schifo. Sapendo di avere la foto con Jensen e Misha, non è che fossi tanto allegra, però alla fine è venuta abbastanza bene, per cui sono contenta. La prossima volta magari mi farò anche abbracciare, stavolta ero troppo emozionata :PPP (non ci si crede a quanto sia bello Jensen dal vivo, e perdonatemi la fangherlaggine, ma davvero è così). E Misha... bè, Misha è Misha *__* Con Richard Speight Jr. (che nella serie interpreta the Trickster/Gabriel, personaggio che adoro). Dal vivo è carinissimo, intanto è decisamente più bello che in tv (ma questo vale per tutti, Jensen e Jared compresi), e poi è simpaticissimo, disponibile da morire e davvero tanto carino con tutti. La foto l'abbiamo fatta fuori dalla sala degli autografi (dove tra lui e Jim Beaver c'hanno passato così tanto tempo che potevano prendere la residenza), ed è stato anche richiamato dallo staff perchè stava facendo le foto con chiunque glielo chiedesse. Lui ha guardato quello dello staff, gli ha chiesto "Am I in trouble?" Il ragazzo dello staff gli ha fatto di sì, e lui ha sorriso, ha alzato le spalle e ha continuato con le foto XD grande!!! Con Jim Beaver (Bobby Singer). Ora, io già volevo tanto bene a Jim causa personaggio di Bobby, ma adesso che l'ho conosciuto dal vivo, posso dire che lo stesso Jim è una persona meravigliosa, simpaticissimo, disponibile pure lui da morire. La foto l'abbiamo fatta mentre andava a cena al ristorante dell'Hilton. Come si può notare, pure nella vita reale porta sempre il cappellino come sullo schermo :) E con Kevin Sorbo (vi ricordate di Hercules? Eh già, è proprio lui!) Non abbiamo ben capito che cosa ci facesse Kevin Sorbo alla convention di Supernatural, ma poi una ragazza ha ipotizzato che potrebbe essere Dio, e in effetti ci starebbe *_* chissà... Uno dei momenti più belli della convention: Jensen Ackles che suona e canta con Jason Manns durante il loro ultimo Panel. L'audio è decente, il video così così (cavolo di fari che mi accecavano la macchina...), ma sono felicissima di averlo visto dal vivo *_*

Cronache di una convention a Fiumicino - Parte 3

Il programma del primo giorno (o per meglio dire della prima mezza giornata, visto che l’apertura è per le 14:30 del pomeriggio) prevede un panel di Misha Collins (che purtroppo ci siamo perse, perché eravamo ancora in viaggio tra gli hotel), seguito dal panel di Richard Speight Jr. (the Trickster/Gabriel) e di Traci Dinwiddie (Pamela), alternati alla gara di Cosplay e al panel dei doppiatori italiani di Jensen/Dean (il bravissimo Stefano Crescentini, doppiatore ufficiale anche di Jake Gyllenhall *_*) e Jared/Sam (Davide Chevalier).

Di tutto questo, non abbiamo visto praticamente nulla a parte un pezzettino del panel di Richard e quello dei doppiatori, perché il primo giorno l’organizzazione si doveva ancora un po’ rodare, per cui c’è stata una situazione un po’ incasinata causa autografi.

In pratica, ci siamo accodate per la sessione di autografi di Richard, ma c’è stato un po’ di casino per la priorità dei pass (a seconda del tipo di pass, vi è un ordine di priorità per fare le cose, in proporzione ai soldi spesi ovviamente. Noi, gli Hunter, venivamo ovviamente per ultimi dopo tutti gli altri pass). Inizialmente ci è stato detto che prima avrebbero fatto passare tutti gli Angel e i Demon, e poi sarebbero entrati anche gli Hunter da 1 a 50 (il mio era il 21), mentre i successivi sarebbero passati ad un altro giorno.

Così, ci siamo accodate e abbiamo aspettato, ma c’era troppa gente e troppo casino, così il tempo a disposizione è finito molto prima che finissero gli Angel.


Già molto stanche (il viaggio, più il caldo, più lo sbattimento degli Hotel, più la prima ressa) e un pochino demoralizzate da questo inizio non proprio promettente, abbiamo lasciato perdere la sessione di autografi di Traci (anche se lei poi il sabato non c’era) e siamo andate in sala conferenze a guardare il panel dei doppiatori italiani.

Sì, perché non si sa bene perché, ma al panel dei doppiatori italiani anche con il nostro pass potevamo entrare nella sala conferenze (sospetto sia perché la maggior parte della gente che è accorsa alla JIB era straniera –c’era gente di tutto il mondo, non scherzo, perfino dal Giappone, Russia e Australia! – per cui il panel era vagamente deserto). Bè, buon per noi, comunque.



Il panel è stato davvero interessante, Stefano e Davide si sono rivelati essere molto molto simpatici, e soprattutto è bello sapere un po’ i “dietro le quinte” della lavorazione (anche se poi io mal sopporto la versione doppiata, ma è perché sono troppo abituata alle loro voci originali, e poi Jensen e Jared sono davvero dei bravissimi attori –soprattutto Jensen, uno degli attori più talentuosi della mia età, a mio parere, ha un’espressività favolosa e una voce calda e profonda- un doppiatore difficilmente riesce ad aggiungere qualcosa alla loro recitazione, anzi, delle due la penalizza un pò). Non ho trovato video su youtube, solo questo pezzetto:



Finito il panel, siamo rimaste in sala conferenze per la proiezione in anteprima del primo episodio della quarta stagione in italiano, per gentile concessione di RaiDue.

Lo sapevo a memoria, ma l’ho guardato volentieri lo stesso (è un gran bell’episodio!), anche per potermi allegramente incazzare per alcune scelte di traduzione, come sempre :P (e NON MI PIACE la voce di Castiel… assolutamente non è adatta… gli hanno affibbiato la voce di Jack Sheppard di Lost, e Castiel non è affatto come Jack… cioè, lo fanno diventare così il classico bellone sicuro di sé, mentre si tratta di un Angelo tormentato e in conflitto con la natura umana che inizia a farsi strada dentro di lui e ad insinuargli il dubbio sulle ragioni dei suoi superiori e sugli ordini di Dio… nonono, non va bene >.<)

Vabbè, finita la proiezione abbiamo ciondolato un po’, ma visto che era quasi ora di cena ed eravamo a pezzi e non c’era altro da fare (gli Angel Pass avevano alle 21:00 il cocktail di benvenuto insieme agli attori, ma a noi Hunter ovviamente non era permesso partecipare), abbiamo preso un taxi e ci siamo fatte portare sulla darsena di Fiumicino, dove abbiamo cercato un ristorante tranquillo e (soprattutto) a poco prezzo dove mangiare in pace.

Lo abbiamo trovato, e così abbiamo cenato con un bel piattone di spaghetti pomodorini e basilico in un localino piccolo e stipato di gente e decorazioni a tema marinaro, ma la pappa era buona, il costo molto contenuto e il personale davvero gentile. Perfetto, in pratica.



Avevamo in programma di fare una passeggiatina lungo il molo prima di rientrare, ma alla fine della cena era scesa parecchio la temperatura, e soprattutto eravamo davvero davvero a pezzi, per cui abbiamo chiamato un altro taxi e ci siamo fatte riportare al nostro hotel Chopin, dove siamo svenute a letto (io a leggere The Dome di Stephen King, la Vale a guardare la puntata settimanale di Criminal Minds) e alle 11 e qualcosa stavamo già russando entrambe.

E’ durata poco, perché a mezzanotte e mezza un forte rumore proveniente da un’altra camera mi ha svegliata. Evidentemente, i nostri vicini di camera (o quelli del piano di sopra, non sono riuscita a capirlo) non avevano affatto sonno, né ritenevano dovessero averne gli altri ospiti dell’hotel, perché sono andati avanti a spostare sedie, sbattere cose, chiacchierare ad un volume altissimo e fare casino fino almeno alle 2 e mezza di notte quando, rassegnata dopo averle provate tutte per riprendere sonno, ho finalmente ceduto e ho fatto la cosa più sensata alla quale purtroppo non avevo pensato prima: mi sono infilata le cuffie e ho sparato il lettore mp3 ad un volume decentemente alto, così nel giro di due canzoni stavo già dormendo. Purtroppo, quando l’album arrivava al termine, i rumori mi svegliavano di nuovo, così ho dovuto riavviarlo 3 volte prima che finalmente i nostri vicini si decidessero a smetterla (l’ultimo play l’ho dato alle 4 del mattino, e ancora facevano bordello =.=).

Alla fine, comunque, sono riuscita a sprofondare in un bel sonno comatoso fino alle 7, l’ora in cui avevamo puntato la sveglia.

FINE GIORNO 1

Cronache di una convention a Fiumicino - Parte 2

(Sarà una cronaca molto, molto, molto lunga, temo... chiedo perdono, tanto credo non la leggerà mai nessuno XP)

Il primo impatto con l’universo Convention è stato, almeno per i primi cinque minuti, traumatico.

Davanti all’Hilton c’erano un po’ di persone che bighellonavano, navette e taxi che si fermavano scaricando e caricando gente, personale dell’albergo in divisa che portava dentro o fuori carrelli di valigie. Insomma, quello che ci si aspetta da un grosso hotel 5 stelle fervente di attività.

Entriamo nella immensa hall e ancora c’è un po’ di gente che va avanti e indietro, soprattutto ragazze dai vent’anni in su, e molte di loro hanno al collo un pass colorato.



Siccome non vedo alcuna indicazione per la convention, ne placco una e le chiedo dove devo andare per farmi dare il pass che ho prenotato qualcosa come 8 o 9 mesi fa (luglio 2009, quando ancora nessun ospite era stato annunciato e il dubbio che si trattasse di una truffa angosciava un po’ tutti i partecipanti. A pensarci adesso, da una parte mi pare che il tempo sia volato, dall’altra invece mi sembrano passati 5 anni).

Lei dapprima ci manda verso la zona sauna e palestra, poi ci recupera e ci manda verso quello che assomiglia a un girone infernale: un coacervo di decine e decine di ragazze schiamazzanti compresse in un corridoio di due metri di larghezza per forse quattro di lunghezza.

Oddio, penso infilandomici in mezzo a fatica, tirando e spingendo per avanzare nella ressa, non sarà mica tutto così?

E no, grazie a Dio non è tutto così, anzi, non è quasi mai così tranne in casi eccezionali. Il problema è che in quel corridoietto 2x4 erano ammassate sia le persone che dovevano fare il check in per la convention (dare i documenti, ritirare pass per la conv, pass per i photo op, pass per gli autografi extra, programma della convention, varie ed eventuali) sia le persone in coda davanti alla sala dei Photo Op.

Spieghiamo un attimo ai non addetti ai lavori (come ad esempio eravamo noi prima di avventurarci in questa cosa) cosa si fa in una convention.

Le attività principali, quelle che interessano un po’ tutti i partecipanti, sono di tre tipi: innanzi tutto ci sono i Panel, ossia un certo periodo di tempo (di solito circa tre quarti d’ora variabile) dedicato ad un certo ospite (o, in certi casi, due o più) durante il quale il suddetto sta sul palco a dire un po’ quello che gli pare (di norma, comunque, risponde alle domande che gli vengono poste dal pubblico). Nel corso dei tre giorni di durata della convention, vengono fatti più panel per ogni ospite (esempio: se non sbaglio, Jensen Ackles ha avuto due panel da solo, uno in coppia con Jared Padalecki e uno con Jason Manns). E’ questo l’evento principale di ogni convention, ed è questo che normalmente si vede in qualsiasi film, telefilm, cartone animato si sia dedicato a questo argomento (sicuramente tutti hanno visto almeno un episodio dei Simpson in cui il tizio della fumetteria, seduto in prima fila in mezzo ad un sacco di ragazzini nerd brufolosi, chiede al fumettista o all’attore di turno precisazioni su sviste di trama, bloopers o quant’altro. Ecco, questo è un panel ^^). C’è da dire che non so come siano altre convention, ma gli attori di Supernatural sanno trasformare ogni panel in un piccolo show, divertendo e emozionando il pubblico dei fan. Sono tutti simpaticissimi e davvero divertenti, anche se ovviamente il top si raggiunge con Misha Collins e con i J2 (Jensen & Jared, i fratelli Winchester in persona) insieme.

Oltre ai panel, ci sono gli autografi. Non per tutti i pass di tutte le convention è così, ma nella nostra JIB (Jus in Bello) in ogni pass era compreso un autografo per ogni ospite (eventuali autografi supplementari dovevano essere pagati a parte. E costavano, eh, se costavano). Come si può facilmente intuire, ogni attore riserva un determinato lasso di tempo (un’ora-un’ora e mezza ripetuto più volte nel corso del weekend) a fare autografi, per cui durante queste sessioni ci si dispone allegramente in fila e si ha una vera occasione di incontrare faccia a faccia i propri beniamini a distanza di tavolo per qualche secondo, scambiando magari anche una battuta.

Infine, ci sono i Photo Op, che non erano compresi in nessun pass per cui andavano prenotati e pagati a parte (e i Photo op costano un bordello, vi assicuro. L’unico che ho preso io, peraltro doppio quindi con costo proporzionato -130 euro-, mi ha fatto versare lacrime amare). Anche qui è intuibile: l’attore dedica un certo periodo di tempo a farsi fotografare con i fan (paganti), in posa e con un fotografo che dopo qualche ora consegnerà il frutto di tanta sofferenza al fan che si è impoverito per acquistare tale rara opportunità. Per quanto possa sembrare, a rigore di logica, che una foto debba richiedere più tempo di un autografo (e arrivi, saluti, ti metti in posa, scatta, saluti di nuovo, te ne vai), invece non è così. Il Photo Op è concepito con ritmi da catena di montaggio, l’attore (o gli attori), e parlo soprattutto di Jensen, una delle foto più richieste ovviamente, se ne sta lì immobile già praticamente in posa, quando è il tuo turno vieni lanciato in postazione (manca solo una carrucola che ti cala dall’alto sulla crocetta e poi ti riporta via dopo), scatto e poi via sotto un altro. Il momento in sé, soprattutto con Jensen, può essere un po’ una delusione, ma poi hai un ricordo che ti rimane per sempre, e per questo tutti più o meno cercano di accaparrarsi almeno un photo op.

Queste sono le attività che coinvolgono un po’ tutti. Inoltre, ci sono i meet & greet con gli attori. Anche qui il costo è più che notevole (mi pare il M&G con Jensen costasse intorno ai 350 €, mentre quello con Misha intorno ai 175 €. Gli altri meno, ovviamente), e sono decisamente meno le persone che si possono permettere l’acquisto. In pratica, si acquista l’occasione di stare per circa 20 minuti in una stanzetta con l’attore prescelto. Non da soli però, i gruppi sono da circa 15 persone. E’ una specie di panel però intorno ad un tavolo e in pochi… non so se vale 350 €, ma tanto il problema non si pone perché io non li ho ^^

Queste sono tutte le attività che si possono acquistare con gli attori.

Inoltre, nel programma c’erano anche la gara di cosplay, la proiezione dei fanvideo, e la proiezione in anteprima degli episodi della 4 stagione in italiano, che andranno in onda quest’estate su Rai Due (cosa che interessava a pochi, perché siamo tutti abituati a vedere gli episodi in inglese e ormai come stagione siamo già alla fine della quinta).

Infine, ci sono i concerti, che sono a parte rispetto alle altre attività della convention. Vabbè, andiamo con ordine, và.

Allora, ritornando al punto, siamo arrivate nella bolgia e ci siamo accomodate al banco dove lo staff faceva il check in per la convention. Ritiriamo i nostri pass

(noi avevamo il pass dei poveracci, l’Hunter Pass, ossia quello più triste e scalcinato. Le categorie di Pass erano: Prophet, che erano 5 in tutto e sono andati all’asta a partire da 1200€ cadauno, e includevano TUTTO –tranne i photo op e Vacanze Romane- anche i meet & greet con tutti gli attori e il cocktail di benvenuto con gli attori; Angel, che costava intorno ai 450 € e includeva cocktail di benvenuto e partecipazione a tutti i panel; Demon, che costava intorno ai 280 € e includeva la partecipazione a tutti i panel; e, per finire, l’Hunter, che costava 80 -90 € se acquistato da dicembre in poi – e non permetteva l’accesso ai panel. Ci era stato pero’ garantito che avremmo potuto seguire comodamente i panel dai megaschermi appesi fuori dalla sala in cui si svolgevano - a porte chiuse, ovviamente), ce li appendiamo al collo (dove rimarrano fissi per i successivi 3 giorni), stipiamo giubbotti e felpe negli zaini (l’organizzazione non aveva pensato di fornire un servizio guardaroba, per cui abbiamo girato per 3 giorni con un peso allucinante negli zaini) e ci avventuriamo oltre la ressa per vedere un po’ cosa succede.


Cronache di una convention a Fiumicino - Parte 1



Non si sa bene come e perché, ma in questo weekend di Pasqua ho preso 2 etti. Mi direte che è normale a Pasqua, tra uova, colombe e pranzi della domenica e di pasquetta.

Sarebbe normale, ne convengo, se non fosse che io Pasqua non l’ho passata con i miei parenti. Rispettando il motto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”, io ho preferito passarla con Jensen Ackles, Jared Padalecki, Misha Collins, Jim Beaver, Richard Speight Jr, Traci Dinwiddie… insomma, per farla breve, con il cast di Supernatural. Dove? Alla prima convention italiana dedicata al telefilm, la Jus in Bello (dal titolo di un episodio molto importante della 3 stagione) Supernatural Convention, che si è tenuta presso l’hotel Hilton Airport di Fiumicino dal 2 al 4 aprile.

Cosa posso dire di questi 3 giorni? Bè, innanzi tutto, che stare ad una convention di fan è un po’ come vivere per qualche giorno in un universo parallelo. Il cervello si abitua in fretta alle novità, e devo dire che dimostrazione ne ha dato il fatto che, la domenica sera, Richard Speight Jr (che nella serie interpreta the Trickster o, per meglio dire, Gabriel) passava allegramente per la hall dell’Hilton per uscire a cena e noi lo abbiamo salutato con la manina dai divani in cui stavamo barboneggiando in attesa dell’inizio del concerto di Steve Carlson, e lui ha ricambiato “Hi!” ha detto, “Hi!” abbiamo risposto noi, ma non ci siamo neanche degnate di alzarci o non gli abbiamo chiesto foto o autografo o altro, e sì che era completamente solo, senza scorta o accompagnatori. E’ che ormai eravamo abituate a vederlo passare, e il nostro cervello (o perlomeno il mio) si era talmente assuefatto alla sua presenza, che non abbiamo nemmeno considerato che sarebbe stata l’ultima volta che lo incrociavamo. Certo, con Jensen Ackles e Jared Padalecki non ci si abitua facilmente, ma solo perché loro sono più difficili da avvicinare. E probabilmente neanche con Misha, per quanto lui giri senza problemi. Ma Richard e Jim ormai erano “di casa”, giravano avanti e indietro come gli pareva, facendo dannare lo staff che li rincorreva (ricorderò per sempre il ragazzo che accompagnava Misha per gli autografi, che gli correva dietro con le braccia cariche di fogli chiamandolo “Misha, ‘ndò vai Misha”, e l’altro che ha beccato Jim fuori dagli ascensori che si faceva le foto con i fan –me compresa- che erano lì a bighellonare, e preso dalla disperazione ha chiesto ad un altro “Ma questo se gestisce da solo?”, l’altro ha alzato le spalle e, rassegnati, se ne sono andati. Vi spiego: dato che autografi e foto con gli attori erano da prenotare e pagare, il fatto che loro poi se ne girassero per l’hotel concedendo le foto a chi gliele chiedeva “aggratis” va a completo merito loro –sono dei grandi!- ma ha fatto impazzire lo staff, che cercava di fermarli e veniva ignorato. Ad esempio, Richard si è fatto una mega sessione di foto con chiunque glielo chiedesse prima di entrare alla sua ultima sessione di autografi. Poi lo staff l’ha placcato e l’ha portato nella sala degli autografi. Quando è uscito, hanno cercato di farlo passare dal lato in cui non consentivano l’accesso ai fan, ma appena una gli ha chiesto la foto, ha detto “Sure!”, ha sbolognato la roba che aveva in mano alla manager, ha congedato il suo seguito e si è messo a fare foto con tutti, e intanto il ragazzo disperato dello staff che lo chiamava “Richard… Richard… no, Richard” e lui l’ha guardato e sorridendo gli ha chiesto “Am I in trouble?” (“Sono nei guai?”) e il tipo dello staff gli ha fatto un gesto tipo “eggià, vedi te!”, lui per tutta risposta ha sorriso di più e ha continuato con le foto). Un’altra cosa che descrive perfettamente la convention come “universo parallelo” è la frase che mi ha detto una ragazza domenica sera “Per tre giorni le tue preoccupazioni diventano: dove mi faccio fare l’autografo? Come mi vesto per la foto? Oddio, ho le occhiaie e i capelli mosci, come faccio che ho la foto con Jensen/Jared/Misha?” E vi assicuro che è così (a queste preoccupazioni aggiungerei anche “ma se io adesso mi metto in coda per l’autografo, poi mi perdo il panel di Misha… però se sto qua vedo passare Jensen che alle 15 scende qui in saletta, se vado a vedere il panel me lo perdo” Questo discorso però vale principalmente per chi, come me, aveva il pass Hunter, che non consentiva l’accesso ai panel, per cui a volte si sacrificava la visione di un attore da uno schermo 32’’ schifosissimo, a favore di tre secondi di passaggio in carne ed ossa a pochi cm di distanza). Io la domenica mattina, dopo due giorni di puro sbattimento, mi sono alzata alle 7 spinta solo dal pensiero assillante “Jensen, Jensen, Jensen, mi devo alzare perché c’è Jensen” (sennò sarei rimasta a dormire almeno altre due ore. Ma non si può, le attività iniziano alle 9 e prima dovevo anche fare colazione), sono andata in bagno, ho guardato le sportine blu dell’Ikea che avevo sotto gli occhi, contornati dai capelli sporchi e piatti, e sono tornata sconsolata in camera, in ansia per come sarebbe venuta la foto con Jensen e Misha. L’ho detto, è un mondo a parte, un mondo di pura fangherlaggine in cui piombi volente o nolente. So di almeno una ragazza (che poi ho conosciuto) che ha pianto perché l’hanno costretta a fare la foto il sabato (quando lei si era mentalmente programmata di farla la domenica), per cui non era pronta, non aveva i vestiti giusti, i capelli a posto etc etc, la foto è venuta ovviamente malissimo perché non voleva farla, e così ne ha ripagata un’altra il giorno dopo per rifarla decentemente. Non credo che al posto suo l’avrei rifatta, costavano troppo le foto, però dipende da quanto ci teneva. In fondo, capita una volta sola, per cui posso dire di capirla. E non è l’unica ad aver avuto una reazione del genere. So di un’altra ragazza che è andata in crisi perché era emozionatissima all’idea di incontrare Jared Padalecki, e si era comprata la foto (quelle stampate) da farsi autografare, e voleva la dedica, ha chiesto ad un membro dello staff italiano di fare lo spelling del suo nome per lei (non sa tanto bene l’inglese, e non voleva sbagliarsi), ma il tizio dello staff ha sbagliato lo spelling, così Jared ha sbagliato a scrivere il nome. Lei avrebbe dovuto ricomprare un’altra foto e ricomprare un altro autografo (più di 50 euro tra l’una e l’altro), ma intanto le foto di Jared erano finite e non sapeva come fare, lo staff non era per niente disponibile a fare un’eccezione (nonostante l’errore di spelling fosse stato fatto da uno di loro), e lei era disperata. Fortuna vuole che la manager di Misha l’abbia vista e si sia interessata a quale fosse la causa del suo dispiacere, così poi ha provveduto a far saltare fuori un’altra foto di Jared e a fargliela autografare gratis con il nome corretto scritto sopra. Ripeto: un mondo a parte. Ed è stato stranissimo, il lunedì mattina, tornare a quello reale, quello che non è suddiviso in Hunter vs Angel e Demon (e tutti vs Prophet), quello dove se dici come battuta “No flash please” nessuno ride (ditelo a qualcuno della convention, vedrete che capisce), quello dove non ti rivolgi ad una persona sconosciuta per chiedere informazioni, chiedendogli come prima cosa “Sei italiana/o?” (almeno, non normalmente). O altra domanda molto gettonata “Scusa, per cosa sei in coda?”.

Ma andiamo un po’ con ordine. Allora: partenza da casa mia alle 7 e 35 di venerdì mattina, in tempo per prendere il treno per Bologna delle 7:52.

La Vale ed io arriviamo così in stazione a Bologna con un’ora di anticipo rispetto alla partenza prevista dell’IC per Roma, ossia il tempo perfetto per fare colazione al bar con tutta calma.

Dopo la colazione, andiamo al binario e –sorpresa delle sorprese- il treno è perfettamente in orario! E’ strapieno, zeppo di gente da scoppiare (è pur sempre il weekend di Pasqua), ma noi avevamo il posto prenotato (inoltre, avendo preso il biglietto con abbondante anticipo, ho anche usufruito dello sconto del 30%, per cui tra andata e ritorno il treno Bologna- Roma ci è costato 50 € a testa. Non male. Ogni tanto, anche Trenitalia ne fa una giusta), per cui ci siamo accomodate e io ho passato tutto il viaggio (l’arrivo era alle 13:24, quindi circa 4 ore) a giocare a Poker (a Texas Hold’Em) con il Nintendo DS.

Arrivate a Roma, scopriamo che là fa tanto caldo (24 gradi circa) e c’è tanto sole, e noi siamo vestite troppo pesanti. Comunque, siamo lontane dalla meta. Dobbiamo prendere ancora un treno per trasferirci da Roma a Fiumicino, dove effettivamente staremo fino al lunedì.

Per chi non losapesse (io, ad esempio, non lo sapevo), Roma Termini è collegata a Fiumicino da un treno che parte ogni mezzora e giusto in mezzoretta ti porta a destinazione. Il problema è che è solo di prima classe e il biglietto costa ben QUATTORDICI EURO a tratta! Un furto, praticamente, considerando i 25 a tratta per arrivare a Roma da Bologna… vabbuò, non ci sono alternative, per cui prendiamo questo trenino dal binario 25 (che vi giuro è lontanissimo! Tu parti dal marciapiede normale della stazione di Roma Termini, e sai che il binario 25 è pur sempre lì in stazione, ma non puoi immaginare che devi camminare una vita per arrivarci. Ad un certo punto camminavo da così tanto tempo che pensavo perfino di aver sbagliato strada!) e arriviamo dentro l’aereoporto di Fiumicino. L’Hilton è lì a un passo (saranno 500 metri in linea d’aria), e la convention sta iniziando giusto giusto in quel momento (se escludiamo l’evento “Vacanze Romane” che ha avuto luogo alla mattina, ma non si è svolto in Hotel. In pratica, Misha Collins e Richard Speight Jr. sono andati in giro per Roma con quelli che si erano potuti permettere il costo dell’attività. Io non sono tra questi), ma noi non possiamo andare subito all’Hilton. Siamo cariche di roba, vestite pesanti, sudate e stanche dal viaggio, e in più vogliamo assicurarci che l’hotel dove abbiamo prenotato, il fantomatico Hotel Chopin, esista davvero (dove ho prenotato una twin “Zio Paperone”… ora potete capire la mia perplessità).

Prendiamo il taxi (guidato dall’unico tassista di Roma silenzioso e musone) e scopriamo che dall’aereoporto a qualsiasi destinazione di Fiumicino c’è una tariffa fissa di 15 Euro (per la tratta inversa si è variato dai 15,50 ai 20 a seconda del traffico). Risparmiamo comunque rispetto al costo totale di una stanza all’Hilton, però la prossima volta farò di tutto per soggiornare all’Hilton (o comunque nell’hotel della convention), perché è mille volte meglio.

Comunque, lo Chopin esiste, ed è l’hotel più cheap in cui abbia mai soggiornato. Già il sospetto mi era venuto arrivando, data la palma di plastica arancione che accoglie gli ospiti,


accostata ad una statua tipo venere che regge un vaso con dentro una piantina (vera)



ma non è niente in confronto all’interno. La hall (se così si può definire) è un guazzabuglio di oggetti di simil arte stipati a caso, tonnellate di quadri orrendi alle pareti,



statue (ai piedi delle scale c’è la statua di un negretto che regge una torcia, tanto per dirne una particolarmente brutta)


e poltrone stile barocco/impero o che ne so in che stile sono…



La portineria è qualcosa di ridicolo, e l’ascensore non è che mi abbia dato tanta sicurezza (infatti l’ho preso una volta sola). E vi assicuro che io di solito sono di bocca buona per gli Hotel. Ma questo era particolarmente orrendo. Però proprio per questo aveva un suo fascino, lo ammetto. E alla fine ho dormito benissimo, loro sono stati gentili e ho speso poco, la camera la pulivano tutti i giorni per cui non mi posso lamentare...


La nostra camera (non ci hanno dato la twin zio paperone che avevo prenotato, sospetto perché avevano abbondante posto dentro la struttura principale, mentre la zio paperone si trova in una struttura poco lontano dall’hotel) era una matrimoniale abbastanza ampia, con un esorbitante letto a onda laccato bianco e con gli specchi sulla testiera (e se non bastassero, di fronte al letto c’era un enorme armadio sempre laccato bianco con gli sportelli tutti a specchio) e il copriletto rosa.



Tra quello, il cassettone laccato con la vernice scrostata e le macchie di caffè impossibili da togliere, il divanetto orrendo che ho fatto toccare solo dalle valigie,



e il tavolino a tre gambe (ottimo per le sedute spiritiche) –e non voglio dimenticare la moquette orribile arancione e rossa-



sembrava di stare in uno dei Motel di Supernatural, per cui stavamo perfettamente in tema. Sorvolerò sullo scopino del water corroso dalla ruggine, sulla muffa & ruggine che avvolgeva la cabina doccia e sul sifone dello scarico, che faceva rumori tali da far pensare fosse posseduto da uno spirito con seri problemi di stomaco.

Tagliando corto, ci siamo date una rinfrescata, cambiate e rimesse sul taxi in direzione, finalmente, dell’Hilton e, soprattutto, del cast di Supernatural.


Dick & Jane - secondo pezzo

Nel post precedente il primo pezzetto. Oltre a questo ne ho anche un'altro, lo posterò stasera magari :)


Dick strizzò gli occhi. Non voglio pensare a quello adesso. Non voglio, non ce la faccio. Ti prego, lasciami in pace.
Ma era come sperare di trattenere un fiume in piena con una diga di rami essiccati. Una volta che l’acqua trova una fessura, in pochi istanti arriva a travolgerti.
Per la milionesima volta (o forse miliardesima, contando gli incubi che ancora lo perseguitavano quasi ogni notte), si trovò costretto ad assistere alla proiezione mentale del suo piccolo film dell’orrore personale.
Rivide il lettino intriso di sangue, risentì le sue urla mentre si aggirava come un folle di stanza in stanza alla ricerca dei suoi figli e di sua moglie, certo che, mentre lui era al lavoro, qualcuno fosse penetrato in casa e avesse fatto loro del male (oh, che meravigliosa illusione!).
Rivide se stesso entrare finalmente in cucina, e arrestarsi mentre il suo cervello tentava di dare un senso alla scena che gli si mostrava.
Come se fosse accaduto solo il giorno prima, invece che a distanza di anni, vide Nellie nel suo passeggino. Dormiva tranquillamente, il piccolo petto che si abbassava e alzava ritmicamente. Forse era stato proprio questo a far sì che Jane decidesse di lasciarla un momento da parte.
Tom, il suo gemello, non era stato così fortunato. Tom raramente dormiva sereno. Più spesso che no, li deliziava con i suoi urli spaccatimpani, notte e giorno indifferentemente.
Nel momento in cui Dick era entrato in cucina, Tom si trovava disteso sul piano in marmo, lo stesso su cui Jane aveva preparato tutti i loro pasti negli anni passati insieme. Sembrava pronto per il bagnetto, con i vestiti accuratamente ripiegati su un lato del piano di lavoro.
Ma c’era qualcosa che non andava in lui. Tom aveva uno strano colore, ed era così innaturalmente immobile da sembrare un bambolotto.
Dick ci mise un po’ a registrare lo squarcio che aveva nel collo per quello che era. Era talmente profondo che se qualcuno lo avesse preso in braccio, di certo la testa gli sarebbe ricaduta all’indietro, come il cappuccio di una felpa.
Jane era in piedi accanto al piano di lavoro, e quando Dick entrò nella stanza lo guardò e gli sorrise, radiosa come non era abituato a vederla da molto, troppo tempo.
La sua bocca era macchiata di rosso. A Dick ricordò la donna di una orrenda pubblicità di un sugo pronto.
“Devono tornare dentro la loro mamma. Sono i miei bambini” disse Jane, senza smettere di sorridere.
Poi si chinò su Tom, per riprendere da dove si era interrotta.
Dick sentì di nuovo nelle orecchie il rumore dei denti che laceravano la carne (niente più filetti al sangue da quel giorno per il signor Dick Clarkson, no davvero, grazie), e decise di averne avuto abbastanza.
Staccò la spina, spense il cervello.
Camminò come un automa fino all’armadietto del mobile bar, nell’angolo della stessa cucina dove sua moglie aveva interpretato la sua versione del Conte Ugolino, e si versò una dose abbondante di Vodka.
Diede un’occhiata all’orologio a muro. Le due e un quarto. Nellie sarebbe rimasta al compleanno della sua amichetta Angela per tutto il pomeriggio. L’avrebbero riaccompagnata a casa intorno alle sei. Dick valutò il contenuto della bottiglia. Era piena per tre quarti.
Basterà per riarginare la diga, perlomeno per oggi pensò, vuotando il bicchiere e riempiendolo di nuovo.
Avrebbe dovuto lavorare, nello studio al piano di sopra lo aspettavano tonnellate di incartamenti da vagliare, ma al momento il binomio alcool e TV gli sembrava l’unico degno di considerazione.
Al diavolo il lavoro, non mi licenzieranno di certo per qualche ora di libertà.
Prese bicchiere e bottiglia e si trasferì in soggiorno. Valutò se portare con sé anche qualcosa da sgranocchiare, ma scartò immediatamente l’idea. Perché mai avrebbe dovuto? A stomaco vuoto si sarebbe ubriacato molto più in fretta.
Si lasciò cadere sulla sua poltrona, e accese il televisore.
Alla quarta vodka, le immagini che si rincorrevano nella sua mente iniziarono a farsi lattiginose, come se le stesse vedendo attraverso una densa coltre di nebbia.
Il mal di testa si era fatto più pressante, le vene delle tempie pulsavano dolorosamente, ma per esperienza Dick sapeva che con un altro paio di bicchieri avrebbero rimandato tutti questi fastidiosi dolori all’indomani, quando, tornato sobrio e in sé, senza inopportuni ricordi dell’ultimo pasto che sua moglie aveva consumato in quella casa.
Cambiò canale tre o quattro volte, finchè finì col sintonizzarsi su un programma di gossip.
Quando doveva staccare il cervello, niente era più efficace della cronaca degli ultimi amori con annesse scappatelle della stellina di turno.
Anche se gli importava dell’impero di JLo quanto di una scorreggia di Ralphie, il criceto di Nellie, concentrò comunque tutta l’attenzione che riusciva a mettere insieme sul servizio, facendosi rapire dalla voce narrante che spiegava come la celebre cantante, partendo dal nulla, avesse poco alla volta messo in piedi una rete di prodotti che comprendevano, tra le altre cose, una linea di abbigliamento, cosmetici e il suo famoso profumo.
Il profumo.
Era stato il ricordo del profumo di Jane a fargli crollare addosso quella valanga di ricordi.
Perché diavolo mi è venuto in mente il profumo di Jane? si chiese, sorseggiando la vodka e guardando Jennifer Lopez mostrare le sue numerose pellicce e le sue ciglia di vero pelo di volpe.
Non ci pensavo da mesi, come minimo.
Inspirò con il naso, e lo sentì.
Verity75. Era tutto intorno a lui. Era reale, non era un ricordo.
Entrando in casa, il suo inconscio aveva registrato e ricordato quello che alla sua mente cosciente era sfuggito.
Ma quello che nell’ingresso era una traccia quasi impercepibile, nel soggiorno ora era netto e deciso.
JANE! urlò il cervello di Dick.
Scattò in piedi e si girò.
E lei era lì, in piedi alle spalle della poltrona dove lui si stava ubriacando ignaro.
Era più magra di quando l’aveva vista l’ultima volta, molto di più. La sua pelle aveva assunto la tonalità opaca e spenta di chi non vede la luce del giorno da molto, molto tempo. I capelli, una volta biondi e frizzanti come quelli di Grace Kelly, ora ricadevano giallastri e flosci lungo le sue braccia ossute. Nemmeno gli occhi erano più quelli della Jane di cui si era innamorato. C’erano creature urlanti dietro le iridi della donna che aveva di fronte, Dick poteva quasi vederle contorcersi in preda al tormento. Ma era lei, ed era lì.
“Jane” disse Dick, e non seppe come proseguire.
Come era fuggita dall’ospedale? Diamine, quel posto era fortificato peggio di Guantanamo, aveva persino le guardie armate all’ingresso. E come diavolo era riuscita ad entrare in casa?
“Jane… perché sei qui?” chiese alla fine. Aveva bisogno di tempo, doveva riordinare le idee.
Aveva passato anni a temere il ritorno della moglie, e ora che era davvero accaduto non sapeva che fare.
“Questa è casa mia” rispose lei, semplicemente come si trattasse di un’ovvietà.
La sua voce era lievemente acuta, ma a parte il profumo era forse la cosa che in lei era cambiata meno.
“La tua casa adesso è all’ospedale, lo sai Jane” disse Dick. Parlava lentamente, non sapeva con esattezza quanto sua moglie fosse in grado di capire i concetti che lui le esprimeva, per quanto elementari. Non aveva idea di come funzionasse la mente di Jane, aveva rinunciato a capirlo molto tempo prima, e aveva sperato di non aver più bisogno di farlo.
E invece nella vita non si può mai dire, vecchio mio. Le belle sorprese sono sempre dietro l’angolo.
“Voglio vedere la mia bambina” disse Jane.
Non si era mossa, non aveva spostato nemmeno un’unghia da quando Dick si era accorto di lei. Era impalata dietro la poltrona, le braccia abbandonate lungo i fianchi e i pugni stretti. Non sembrava capire appieno quello che la circondava. A dirla tutta, non sembrava trovarsi sullo stesso piano di realtà di Dick.
“Nellie non è qui” rispose Dick, e inviò un muto ringraziamento a Dio, che aveva fatto sì che Jane scegliesse proprio quel giorno per la sua improvvisata.
“Voglio vedere la mia bambina” ripetè Jane, come un disco rotto.
Dick sospirò “Jane… non è qui. Nellie non è in casa oggi, non puoi vederla”
Devo chiamare l’ospedale. Forse la stanno già cercando. Il numero credo che sia nella rubrica sulla scrivania. Posso lasciarla qui da sola mentre salgo a prenderlo?
“Nellie” ripetè Jane, e due lacrime le scivolano lungo le guance.
“Jane, non fare così. Adesso chiamiamo l’ospedale così verranno a prenderti e ti riporteranno nella tua stanza, dove potrai riposare. Devi riposare, Jane. Domani io e Nellie verremo a trovarti, te lo prometto”
Una promessa fatta ad una pazza infanticida non conta, giusto?