Mirtilli a Colazione, di Meg Mitchell Moore





Si dice che una madre non perda mai davvero i propri figli. Perde le figlie, perché si lasciano assorbire dalla casa di un altro uomo, dalla nuova famiglia, ma i figli restano sempre fedeli alla madre. Si dice che ogni donna dovrebbe avere almeno un figlio maschio proprio per questo motivo.


Alla fine del libro sono andata a cercarmi il titolo originale, perché davvero Mirtilli a colazione (titolo molto da romanzo rosa, evidentemente si puntava a quel genere di pubblico) non ci azzecca minimamente, come spesso accade con gli adattamenti italioti, e infatti il titolo in inglese The Arrivals è molto più significativo e appropriato.
Avevo adocchiato questo romanzo durante uno dei miei tour fotografici in libreria (ossia quando non ho soldi da spendere, ma voglio andare in libreria lo stesso, e non potendo comprare i libri che mi attirano mi limito a fotografare con il cellulare le copertine e a salvarmi poi le foto tipo appunto mentale in una cartella apposita, che vado poi a spulciare nel momento in cui posso finalmente spendere di nuovo).
Mi aveva attirato la copertina, ma soprattutto era stata la trama ad incuriosirmi. Sembrava un romanzo brioso, vivace, che alternava momenti divertenti ad altri di riflessione. Invece no. Non dico che sia brutto, è che è un po' noioso. L'aspetto interessante è questa Parenthood (la serie tv)
letteraria, cioè l'analisi, attraverso il vissuto dei vari personaggi, dei molteplici aspetti dell'essere genitore, madre in particolar modo, ma anche padre. Ci sono i genitori anziani, che hanno l'esperienza e la solidità, e i ricordi; c'è la madre (momentaneamente) single, che è schiacciata dalla stanchezza (Lillian); c'è quella che è quasi diventata madre, e deve capire se è pronta ad esserlo (Rachel); ci sono i genitori moderni, con lei (Jane) che porta a casa la pagnotta e lui che, secondo i piani, deve rimanere a casa a badare ai figli (forse le figure più interessanti dell'intero romanzo, non tanto per loro, quanto per le riflessioni che ti inducono sul ruolo della madre e del padre e come viene percepito dalla società quando questi vengono scambiati. Una riflessione, quindi, sulla imparità di ruolo nella famiglia). E ci sono poi i padri: quello spirituale (Padre Colin); quello che non è pronto ad esserlo (Marcus); quello a cui vengono portati via i figli (Tom); quello che dovrà sacrificarsi per la famiglia (Stephen); quello classico, solido, un po' all'antica, brontolone ma pronto a farsi in quattro per i suoi figli (William).
E poi ci sono i figli, non solo i piccoli (Olivia e Phillip), non solo Sarah, in procinto di nascere, non solo il bambino perduto di Rachel, ma anche tutti gli altri, Lillian, Rachel, Stephen, Jane, tutti loro, tornando nella casa dei genitori, sono a loro volta sia genitori che figli, sia adulti che (a volte, con alcuni poco responsabili comportamenti) sospesi in un limbo un poco infantile, come se tornare "a casa" li sollevasse un po' dalle incombenze proprie dell'età adulta, dall'indipendenza (con tutti gli oneri e i vantaggi che ne derivano), e così Lillian scarica i figli sui nonni e non pulisce la sua camera, come un'adolescente, Rachel rifugge dalle responsabilità del lavoro e si scorda perfino di pagare l'affitto, Jane (figlia acquisita) sgattaiola per casa quando non c'è nessuno, contravvenendo a precisa prescrizione medica, ...

Le potenzialità, questo romanzo, le avrebbe tutte, e infatti comunque la storia si legge bene nonostante le sue 300 e passa pagine, tuttavia, per quante situazioni complicate vengano presentate, non riesce ad appassionare, non cattura mai davvero. Non ci sono mai situazioni un po' divertenti, leggere, non ci sono battute, non ci sono d'altro canto neanche momenti drammatici (la vicenda di Olivia è talmente palese che avrà un lieto fine, da non suscitare alcun pathos). È tutto vagamente piatto, poco emozionante, quasi per nulla coinvolgente. Non credo siano personaggi che mi rimarranno dentro, se non forse in senso negativo (trovo che Lillian sia antipaticissima, Jane è ugualmente odiosa, Stephen è senza spina dorsale, Rachel mah, vai a capirla, devo ancora decidere se è frivola o no, William è praticamente solo accennato... Forse Ginny è l'unica che si salva un po', nel suo essere combattuta tra l'amore per i suoi figli e l'irritazione che le provocano).
Non mi sentirei né di consigliarlo né di sconsigliarlo. Si può leggere, ma di certo si dovrebbe dare priorità ad altro.


Voleva, anzi, vivere in eterno la vita di un ventenne (...) e che la vita fosse all'insegna dell'impermanenza permanente; voleva che fossero vicini ma non legati, alleati nella mente e nello spirito, ma non nel nome.
 

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